Oggi, 2 giugno, ho lavorato da
casa per recuperare il lavoro che avevo in arretrato. Non è stato facile. La tentazione
di chiudere tutto e scappare al mare, dove il marito si sta passando una
settimana di riposo, è stata forte. Ma ha vinto il bisogno che avevo di mettere
ordine tra tutti i pezzi di lavoro che ho. Mi ha fatto compagnia la mia
cagnolona, con cui mi sono concessa due giri in campagna, per staccare il
cervello e rigenerarmi.
L’anno scorso, in questi giorni,
stavo chiudendo un progetto a cui avevo lavorato tutto l’anno. Si chiamava IES,
che sta per interventi educativi scolastici.
Un bel progetto, iniziato tre
anni prima, a cui io sono subentrata nella sostituzione di una collega andata
in maternità. Il progetto era pensato per supportare gli alunni DSA,
potenziando le loro capacità di studio e di adattamento alla didattica. L’anno
scorso però, in occasione dell’entrata in vigore della normativa sui BES, il
progetto ha preso nuova forma: il mio compito è stato quello di incontrare gli
insegnanti di ogni classe, di un intero plesso scolastico, analizzare la
domanda di bisogno presente e realizzare interventi in classe che andassero a
supportare questo bisogno.
Insieme poi alla coordinatrice
del progetto, che teneva i rapporti con il servizio sociale, e una collega
psicologa che ha gestito i tavoli Bes e interventi specifici per le sue
competenze, il lavoro è stato molto interessante e su più livelli.
Lo scopo era quello di permettere
alla scuola di appropriarsi del vero senso per cui i Bes sono stati pensati:
includere ogni alunno e alunna nella didattica quotidiana, evitando, nel tempo,
di dover ricorrere a specialisti di ogni tipo nella presa in carico di qualche
particolarità, perché la scuola, può realmente includere.
E così, a partire dal lavoro
fatto nelle classi, io ero là per aiutare gli insegnanti a riappropriarsi del
senso educativo profondo che sta al cuore dell’istruzione.
È stata un’esperienza molto
interessante, ma difficile. Su tutti noi piovono leggi e normative che non
siamo pronti ad assumere con facilità. Alcune insegnanti mi richiedevano di
prendere in carico il loro bisogno, per poter essere alleggerite nelle fatiche
quotidiane. E non è stato semplice mostrare loro il senso della mia presenza.
Mi sono chiesta il perché molto
spesso, durante e dopo questa annualità. Sicuramente in équipe abbiamo avuto
problemi organizzativi che non hanno favorito il lavoro. Banalmente io dovevo
incastrare la mia presenza a scuola in orari dettati dalla mia agenda, che non
sempre sono stati quelli più utili per svolgere il lavoro. Poi ci sono state le
consuete resistenze del corpo insegnante, che fatica a guardare una figura esterna
come possibilità di essere accompagnati nella didattica quotidiana,
approfittando di una pedagogista che, per sua specificità professionale, è
capace di formare alunni e insegnanti, mentre il lavoro didattico si attua. Non
serve fare parentesi nelle normali giornate di lezione. Vince così l’abitudine,
per cui affidare i famosi ‘casi particolari’ e poter seguire meglio il resto
della classe.
Ma è proprio pensare di dover
seguire ‘il resto’ che non quadra, se si analizza la situazione da un punto di
vista pedagogico. La scuola ha come proprio oggetto di lavoro quello di far
incontrare il sapere codificato dall’umanità con persone in crescita. Andando a
scuola ogni persona può capire ciò che le piace e immaginarsi una vita
possibile per sè. Può capire quale parte di quel sapere gigante e globale voler
approfondire e, man mano, pensarsi in un mestiere o in una professione, in cui
realizzare un gran pezzo di sé.
Non esiste ‘un resto’, dunque. Se
a scuola ci devono andare tutti (e meno male!), tutti hanno diritto di godere di
questo percorso.
Ben inteso. So bene che la scuola
non versa in una situazione facile. So bene che fare gli insegnanti oggi è un
compito eroico, perché si arranca nelle fatiche e il valore dato nei secoli
alla scuola sta perdendo quota. Lo so anche perché, per me che ho scelto di
stare nel mondo educativo primariamente in ambito extra-scolastico, è normale
purtroppo partire dalla consapevolezza che l’Educazione sia sempre considerata,
dal mondo ‘produttivo’ come cosa poco importante. Ma è a partire da qui che,
unendo le forze, si può trovare lo stimolo per riprendere a guardare lontano. Non
credete?
Istruzione ed educazione sono due
facce della stessa medaglia che si chiama Formazione. Il sapere pedagogico, che
coltivo quotidianamente, me lo ricorda ad ogni piè sospinto, sia che io lavori
dentro la scuola, sia che io lavori fuori, e mi aiuta a centrare il bersaglio di ogni mia azione professionale.
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L’immagine è stata tratta dal film American Sniper, di Clint Eastwood, e liberamente modificata da Roberto Macalli - Stampa&Rigenera
Voglio terminare questo 2 giugno,
festa della Repubblica, ricordandomi e ricordandovi che:
Art. 3
Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti
alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di
opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
È
compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale,
che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono
il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i
lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
Art. 34.
La scuola è aperta a tutti.
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