martedì 26 novembre 2013

A modo tuo

Una canzone. Una poesia. Dedicata ai genitori, soprattutto alle mamme.

Perché in educazione è fondamentale dosare la propria presenza adulta, per poter lasciare spazio alla vita di chi amiamo e seguiamo.

Buon ascolto.

A modo tuo - L.Ligabue, Elisa

lunedì 11 novembre 2013

Chi l'avrebbe mai detto...?

In vista della seconda Assemblea generale e materiale  sulla CONSULENZA PEDAGOGICA che si terrà a Milano il 16 novembre 2013, alcuni blogger che ne prenderanno parte hanno deciso di lanciare in rete un blog crossing day nel quale parleranno, in un breve post, del perché hanno scelto l'educazione come professione e di come sono entrati in contatto con il gruppo Facebook "Educatori, Consulenti pedagogici e pedagogisti" da dove tutto ha avuto inizio.

I blogger che partecipano sono:
Anna Gatti, blog "E di Educazione"
Alice Tentori, autore ospite di "E di Educazione"
Monica Cristina Massola, blog "Ponti e Derive"
Elisa Benzi, autore ospite di "Ponti e Derive"
Christian Sarno, blog "Bivio Pedagogico"
Laura Ghelli, autore ospite di "Bivio Pedagogico"
Manuela Fedeli, blog "Nessi Pedagogici"
Alessandro Curti, blog "Labirinti Pedagogici"
Vania Rigoni, blog "La bottega della pedagogista"
Sylvia Baldessari, blog "Il Piccolo Doge"

I contributi saranno condivisi sui diversi Social con 
#assembleagenerale e #consulenzapedagogica


Buona lettura!





Quindici anni fa, al termine del liceo psico-socio-pedagogico, ho scelto di iscrivermi a Scienze dell'Educazione scartando Lettere e Filosofia (che mi avrebbe permesso di fare un tipo di incontri più astratto) e Psicologia, perché ho sentito intensamente di voler stare accanto alle persone in setting diversi da quelli psicoterapeutici, meno rigidi, e forse quindi anche più difficili e complessi, che mi permettessero di stare a stretto contatto con le vite altrui, segnarmi e farmi segnare nell'interazionalità dei rapporti umani, meticciando le vite. 
Ho iniziato quindi la mia vita come Educatrice professionale. A dire il vero, io di vite ne ho vissute molte, ho vissuto molto più di quello che avrei potuto avendo solo a che fare la mia vita personale. Porto con me i segni di emozioni vissute da altri, delle fatiche attraversate da altri, delle gioie e dei dolori, dei traguardi e dei fallimenti che ogni vita porta con sé e che le persone che ho conosciuto nei servizi in cui ho lavorato mi hanno donato, mi hanno affidato. Sempre con la consapevolezza di essere lì con loro per imparare e insegnare a farsene qualcosa degli accadimenti vissuti. Fare ordine, sistemare i bagagli e proseguire nell'affascinante quanto difficile viaggio che ogni vita è.

Non sono una nativa digitale per questioni anagrafiche. Sono però molto interessata al mondo digitale per tanti motivi.
Ho sempre avuto una passione nascosta per la tecnologia. Da piccola mi ricordo di essere stata la tecnologica di casa, attratta terribilmente da tutto ciò che mi apriva possibilità di conoscenza nuove. Nel trascorrere degli anni poi, ed essendo all'epoca la tecnologia molto più distante dalla vita quotidiana di ognuno di noi (eccetto per i professionisti del mestiere) me ne sono allontanata e ho impegnato anima e corpo nella bellezza di incontrare vite, a tal punto che ho deciso di fare di questa mia passione, la mia professione. Per poi sviluppare, quasi fin da subito in realtà, anche una passione profonda per la Consulenza pedagogica. Credo che l'Educazione infatti sia dia ad ogni livello professionale. Per me, formare educatori, insegnanti, fare consulenza genitoriale e attraversare setting pedagogici diversi, che vedono l'interazione di ruoli sociali diversi, ha lo stesso sapore e mi dà la stessa energia che sento, e spero di diffondere, quando calco la scena dell'Educazione di primo livello. La sostanza pedagogica rimane infatti la stessa: insegnare e imparare. Il che cosa lo determina il setting, ma il succo della faccenda non cambia. E io non riesco a non volermelo gustare.

Da qualche tempo a questa parte ho riscoperto non solo il tecnologico, ma ho anche conosciuto il digitale. Potente! Entusiasmante e pericoloso allo stesso tempo. Come la vita. Niente di più, niente di meno. E (chi l'avrebbe mai detto...?) ho cominciato ad interrogarmi sul meticciamento tra vita concreta e vita digitale. Il web 2.0, i social network, smartphone, tablet, ragazzi e adulti avviluppati in queste nuove esperienze. Servizi educativi sempre troppo poco al passo con i tempi. Adulti sempre più spaventati e con meno strumenti per accompagnare i giovani su queste nuove strade che la vita e la nostra epoca ci ha posto di fronte, su un cammino senza bivii. 

Non si può scegliere un'altra strada, oggi, se si vuole continuare a incontrare le persone!

La mia fortuna è stata di avere al mio fianco colleghe (e poi colleghi, anche) che si sono appassionati tanto quanto me a questa sfida e alcuni di loro sono diventati sicuramente più competenti di me in materia. E per me questa è una ricchezza dalla quale non voglio prescindere.
Da mesi mi confronto ogni giorno con un gruppo di Facebook che si chiama Educatori, Consulenti pedagogici e Pedagogisti. È un gruppo per professionisti dell'Educazione ma anche per educatori naturali, primi fra tutti i genitori.

Credo che il livello qualitativo raggiunto in questo gruppo su WEB sia tale da non poter credere che sia un lavoro di volontariato. E l'altro aspetto bello e particolare, è che ognuno sta mettendo del suo a seconda di come può e di ciò che sa fare, in un clima di cooperativismo che fa invidia ad ogni teoria sulla cooperazione. Proseguendo su questa strada sono convinta si possano raggiungere traguardi ben più profondi di tutti quelli che mirano per prima cosa al riconoscimento professionale, di albi e quant'altro. 

Qui si sta lavorando per rimanere vicini al cuore dell'Educazione.

Invito quindi chi di voi lettori fosse interessato a visionare il seguente link:


Manuela Fedeli - Consulente pedagogica

ED ECCO i link agli altri blog partecipanti

Christian Sarno, "Perché lo fai, disperato ragazzo mio."
Laura Ghelli, "Parole e sguardi"
Monica Cristina Massola, "In spostamento, tra uno spazio e l’altro"
Elisa Benzi, "Guest Post."

Anna Gatti, "L'educazione tracciata.

Alice Tentori, "Lascio che le cose mi portino altrove."

Alessandro Curti, "Scontrarsi con l'educazione."
  
Vania Rigoni, "Blog crossing day in bottega."

Sylvia Baldessari, "L'educazione è un incontro."

giovedì 7 novembre 2013

Gli incontri digitali sono possibili!

Non sono una nativa digitale per questioni anagrafiche. Sono però molto interessata al mondo digitale per tanti motivi.
Prima di tutto, ho sempre avuto una passione nascosta per la tecnologia. Da piccola mi ricordo di essere stata la tecnologica di casa, attratta terribilmente da tutto ciò che mi apriva possibilità di conoscenza nuove. Nel trascorrere degli anni poi, ed essendo all'epoca la tecnologia molto più distante dalla vita quotidiana di ognuno di noi (eccetto per i professionisti del mestiere) me ne sono allontanata e ho impegnato anima e corpo nella bellezza di incontrare vite, a tal punto che ho deciso di fare di questa mia passione, la mia professione. Ricordo che, al termine del liceo psico-socio-pedagogico che ho frequentato, ho scelto di iscrivermi a scienze dell'educazione scartando lettere e filosofia (che mi avrebbero permesso di fare un altro tipo di incontri, più astratto) e psicologia, perchè ho sentito intensamente di voler stare accanto alle persone, in setting meno rigidi, forse quindi anche più difficili e complessi, che mi permettessero di stare a stretto contatto con le vite altrui, segnarmi e farmi segnare nell'interazionalità dei rapporti umani, meticciando le vite. E io di vite ne ho vissute molte facendo l'educatrice, ho vissuto molto più di quello che avrei vissuto vivendo solo la mia vita. Porto con me i segni di emozioni vissute da altri, delle fatiche attraversate da altri, delle gioie e dei dolori, dei traguardi e dei fallimenti che ogni vita porta con sé e che le persone che ho conosciuto nei servizi in cui ho lavorato mi hanno donato, mi hanno affidato. Sempre con la consapevolezza di essere lì con loro per imparare e insegnare a farsene qualcosa degli accadimenti vissuti. Fare ordine, sistemare i bagagli e proseguire nell'affascinante quanto difficile viaggio che ogni vita è.
Da qualche tempo a questa parte ho riscoperto non solo il tecnologico, ma ho anche conosciuto il digitale. Potente! Entusiasmante e pericoloso allo stesso tempo. Come la vita. Niente di più, niente di meno. E ho cominciato ad interrogarmi sul meticciamento tra vita concreta e vita digitale. Il web 2.0, i social network, ragazzi e adulti avviluppati in queste nuove esperienze. Servizi educativi sempre troppo poco al passo con i tempi. Adulti sempre più spaventati e con meno strumenti per accompagnare i giovani su queste nuove strade che la vita e la nostra epoca ci ha posto di fronte, su un cammino senza bivii. Non si può scegliere un'altra strada, oggi, se si vuole continuare a incontrare le persone.
La mia fortuna è stata di avere al mio fianco colleghe (e poi colleghi, anche) che si sono appassionati tanto quanto me a questa sfida e alcuni di loro sono diventati sicuramente più competenti di me in materia. E per me questa è una ricchezza dalla quale non voglio prescindere.
Da mesi mi confronto ogni giorno con un gruppo di facebook che si chiama, Educatori, Consulenti pedagogici e Pedagogisti. È un gruppo per professionisti dell'educazione ma anche per educatori naturali, primi fra tutti i genitori.
In questo gruppo lo scambio di pensieri si è evoluto al punto tale che alcuni di noi (circa una ventina tra i 900 e passa iscritti al gruppo), tra cui me (ma questo è meno interessante), si sono incontrati in una prima assemblea a settembre per parlare di consulenza pedagogica e il 16 novembre ce ne sarà una seconda. Gli argomenti che tratteremo si riferiranno alla progettazione educativa e al rapporto tra web e consulenza pedagogica, in forma laboratoriale. Ci stiamo organizzando in forma volontaristica e ogni giorno, ritagliando tempo tra il tanto lavoro e la presenza in famiglia, portiamo avanti pezzi di progettazione. Credo che il livello qualitativo raggiunto sia tale da non poter credere che sia un lavoro di volontariato. E l'altro aspetto bello e particolare, è che ognuno sta mettendo del suo a seconda di come può e di ciò che sa fare, in un clima di cooperativismo che fa invidia ad ogni teoria sulla cooperazione. Credo che proseguendo su questa strada si possano raggiungere traguardi ben più profondi di tutti quelli che mirano per prima cosa al riconoscimento professionale, di albi e quant'altro. 
Qui si sta lavorando per rimanere vicini al cuore dell'Educazione e un lavoro del genere, di certo porterà anche a riconoscimenti professionali ben più significativi, comprensibili e apprezzati che non una lotta vecchia e stantìa portata avanti da chi ha bisogno, autoreferenzialmente, che il mondo riconosca un Titolo (tenendo presente che tutti noi, anche se attraverso strade differenti, abbiamo un bagaglio formativo e culturale grande, perchè chi ama l'Educazione e la Formazione non si esime dal formarsi e dallo studiare. Sarebbe antiparadigmatico!).

Invito quindi chi di voi lettori fosse interessato a visionare il seguente link:
Educatori, Consulenti pedagogici e Pedagogisti


A presto, su questi schermi. 
Manuela Fedeli - consulente pedagogica

E buon lavoro a tutti i miei compagni di lavoro! (Cito in maniera sparsa)
Anna Gatti
Monica Massola
Alessandro Curti
Christian Sarno
Alice Tentori
Katia Cazzolaro
Sylvia Baldessari
Elisa Benzi
Laura Ghelli
Anna Apicella
Roberta Cantù
Luca Franchini
Silvia Luraschi

sabato 5 ottobre 2013

L'amore che insegna - verso il Blogging day di maggio

In occasione del prossimo Blogging day di Snodi Pedagogici, ripropongo un articolo da me scritto alla fine dell'estate scorsa. Torna utile per ragionare sul tema Educazione/Amore.






Ci sono tanti amori. Forse perché ogni amore è caratterizzato dalle peculiarità dell'esistenza di chi lo vive, di chi lo prova.
in queste settimane, per fortuna o per sfortuna, mi sta capitando di incontrare giovani ragazzi in preda ai dolori che la fine di un rapporto di amore di coppia comporta.

Ci sono T. ed E., due ragazzi ventenni, splendidi, di quelli che ogni adulto dovrebbe incontrare, perché sanno insegnare tanto, con la loro naturalezza e determinazione.
una storia d'amore, durata ufficialmente più di due anni, ma che ne conta molti di più. quando si prova il primo amore, forte, coraggioso, ostinato, il tempo si moltiplica e sembra di essere insieme e di amarsi da una vita.
Ma le vite non sono semplici ed entrambi vivono un anno o forse più, barcollando tra mille problemi che le famiglie possono portare e che la crescita in sé comporta, per non parlare delle fatiche che le scuole, senza "s" maiuscola, possono provocare, fino a snaturarti.
T. ed E. si sono amati tanto, si sono aiutati tanto. Hanno trascorso le loro giornate cercando di trovare ristoro dai dolori provati, dalle incertezze, dalle paure. Da quel senso di confusione che, non importanti quanti anni hai, quando lo vivi ti fa sentire perso. Attaccati l'uno all'altra cercando un po' di pace, gli adulti intorno a loro non sono stati in grado di proteggerli e preservare la loro giovinezza e alla fine sono implosi.
Ora non riescono più a stare insieme, nonostante lo vorrebbero tanto. Molto dolore sta avvolgendo le loro vite, un dolore che si somma alle fatiche individuali che ancora non mollano. E anche fisicamente, i segni di queste sofferenze si fanno sentire, si fanno vedere. Stanno male. Lui dimagrisce a vista d'occhio, lei si procura il vomito e non percepisce il proprio corpo.

Poi ci sono F. e S.. Anche loro ventenni e anche loro con una storia di amore alle spalle durata un biennio. Amici da una vita, negli ultimi anni si sono stretti l'uno all'altra per darsi una possibilità di vita nuova.
Compagni di classe, a scuola, uniti dalla stessa compagnia di amici, hanno vissuto fianco a fianco non so quanti giorni della loro vita. tanti. Tanti e importanti. Per lui questo amore significava condividere la vita con una persona vera, che sapeva andare oltre i cliché di vita adolescente. Per lei questo amore ha significato sentirsi amata, stimata, riconosciuta in tutta la bellezza di cui è capace.
Affrontano la maturità e pochi giorni dopo, improvvisamente, F. lascia S. e si dimostra feroce e cattivo come mai si è pensato che potesse diventare. Come forse non si riconosce nemmeno lui. Come di certo non lo riconosce lei.

Dove sono gli adulti in queste storie? Perché quattro giovani vite sono state lasciate a se stesse? Perché gli adulti pensano che l'amore basti a far star bene chi lo prova?
Io è un bel po' di anni che non lo penso. Sono convinta che l'amore possa arricchire le vite in cui fa capolino, se ognuno ha motivi individuali per esistere e resistere. Ma quando non ci sono, l'Amore affossa, anche quando apparentemente non sembra.
Eppure  in queste situazioni non sono riuscita ad andare oltre. E ora posso solo star vicino a queste giovani vite, sostenendole nel percorso di guarigione dalle ferite che l'amore lascia.
Domani staranno meglio. Magari qualcuno di loro si incontrerà di nuovo e saranno pronti per amarsi senza farsi male. Magari no.
Oggi però non ha senso guardare a domani. Oggi ha senso accettare i limiti adulti e le sofferenze profonde che non hanno età.



martedì 6 agosto 2013

Va bene così. Ci sono cose che possiamo imparare solo dai più deboli.

La prima settimana di luglio la mia Cooperativa (www.milagro.it) mi informa di aver bisogno di me come educatrice, per la copertura di una situazione urgente: G., una ragazzina di 14 anni, disabile e psichiatrica, dopo anni di allontanamento dalla famiglia e un anno chiusa in casa, ha bisogno di un accompagnamento presso un centro socio educativo della zona. L'obiettivo è che nel giro di tre settimane questa ragazzina conosca ed accetti me ed accetti di frequentare il centro. Non facile. Mi piace e ci voglio provare. 
Il Cse si chiama Arcobaleno, dell'omonima Cooperativa che l'ha fondato, credo, 20 anni fa (www.arcobalenoinzago.it). Accompagnando G., incontro l'Arcobaleno. Un servizio tranquillo, con educatori e utenti che si vede stare bene insieme. Un buon posto in cui stare e passare le proprie giornate.
L'ultimo giorno, il Presidente Lucio dell'Arciprete, mi regala un libro, il loro libro, dal titolo: "Va bene così. Ci sono cose che possiamo imparare solo dai più deboli", Cooperativa Arcobaleno onlus, Inzago (Mi). 
A casa lo sfoglio, lo leggo. In poche righe e molte foto riconosco valori umani e pedagogici fondamentali, in cui credo molto. Per questo vi riporto una delle prefazioni, proprio a firma di dell'Arciprete, e uno stralcio dello scritto della consulente pedagogica Annalisa Gerini. A ringraziamento di questo splendido incontro.



Alcune parole, nel linguaggio corrente, rappresentano un significato più complesso rispetto a quello che avevano in origine. Tolleranza, ad esempio, suona oggi come una parola certamente positiva, ma con un retrogusto fastidioso, sgradevole. E' una persona tollerante colui che  accetta il diverso, ma generalmente lo fa con una sorte di indulgenza, di accondiscendenza verso il più debole che inevitabilmente non fa che marcarne la differenza. in qualche modo anche la parola integrazione, a pensarci bene, non è poi così bella, sotto il profilo sociologico. Si integra in un mondo di "normali" chi, per un motivo o per l'altro, non corrisponde ai canoni tradizionali di normalità; lo si accoglie (laddove questo avviene) e può condurre una buona qualità di vita insieme a noi, ma in qualche modo, appartiene sempre e comunque ad un mondo a parte. Insomma il mondo è fatto per i normali ma viene anche aperto ai diversi, perché l'umanità è cresciuta, è politicamente corretta ed ha accettato di vivere insieme a loro... Però, in realtà, permane ancora in larga misura la convinzione che è buono ciò che è bello e richiama i principi etici ed estetici dell'antica Grecia del "kalos kai agathos". A questa filosofia del mondo, ancora così diffusa, noi vogliamo contrapporre un semplicissimo "va bene così".
L. dell'Arciprete

[...] L'indirizzo pedagogico e (se vogliamo) filosofico seguito nel lavoro della cooperativa mira a sottolineare e a valorizzare la dignità delle persone non sostituendosi a loro nelle scelte e nelle fatiche ma sostenendole, consigliandole, indirizzandole. Mostrare, senza timori, il vero di ognuno (con le sue fragilità e le sue potenzialità) nella certezza che ogni persona "va bene così": questo è il pensiero da cui prende vita l'opera tutta dell'Arcobaleno, coscienti dell'importanza di ogni individuo e soprattutto della testimonianza dei più "deboli", proprio perché ci sono cose che si possono imparare solo dai più deboli. L'approccio educativo, lontano da facili schemi e riconoscente dei propri limiti, consapevole di voler diffondere una nuova cultura della disabilità, ha portato l'Arcobaleno a scegliere un lavoro di rete, con le famiglie, la scuola e gli altri servizi alla persona del territorio (anche non direttamente collegati alla disabilità), ponendosi nei loro confronti in un atteggiamento di ascolto e scambio. una esperienza che trae origine dal rapporto con una persona (con disabilità) e come tale rivolta alla crescita di ciascuno. Con la consapevolezza di essere insostituibili. Con il bisogno di essere accettati, voluti e amati.
A. Gerini




giovedì 1 agosto 2013

Zara ( 8 luglio 1999 - 18 luglio 2013)

Sei arrivata piccolissima, un batuffolino nero, 14 anni fa.

Te ne sei andata pochi giorni fa. In silenzio e con dignità, come hai vissuto. Fiera ed elegante sempre. Come io avrei sempre voluto essere, ma ancora di lavoro da fare ce n'è per me. 
Non sono molti gli esseri viventi che riescono a mantenere e proteggere,  come hai fatto tu, la  propria eleganza nonostante anni di dolori ossei, aumentati poi dagli acciacchi e dalle malattie della vecchiaia.  E sempre sei rimasta lì. Felice di accogliere i tuoi familiari ad ogni ritorno, con discrezione e rispetto. Hai curato ogni centimetro della tua casa, con amore, come ti hanno insegnato mamma e papà. Sei stata la figlia migliore che di certo loro abbiano avuto. A quattro zampe, sì, ma chiaramente cresciuta con lo stampo di famiglia: riservatezza, discrezione, rispetto, sacrificio in silenzio, perseveranza, amore per i familiari e per tutti coloro che in famiglia sono entrati. Sempre lì. Vicina e mai invadente. Presente.

                                                 

Una come te non può andarsene. Ma ti meriti un bel po' di riposo dai tuoi dolori. 
Fatti magari qualche corsetta per recuperare tutte quelle che i dolori ti hanno impedito negli anni. E poi però torna. Guardaci con amore, come al solito. Stai qui con noi. Perché noi ti vogliamo tanto bene.

mercoledì 22 maggio 2013

A Don Gallo



La Morte comporta sempre, o quasi sempre, dolore profondo.
Quando chi muore è un personaggio pubblico per noi rappresentativo, la tristezza ci coglie e il pensiero va al timore che i messaggi trasmessi dal personaggio nella sua vita corrano il rischio di morire con lui.
Poche ore fa è morto Don Gallo. Ho colto la notizia mentre ero in servizio e me l’hanno comunicato per primi i ragazzi che, sempre connessi a internet, mi hanno avvisato in tempo reale. Con parte di questi ragazzi abbiamo fatto un’esperienza di volontariato sociale a luglio dello scorso anno, presso una comunità di San Benedetto al Porto. È stata un’esperienza importante. Talmente profonda da averci recato difficoltà nel rielaborare a fondo, insieme ai ragazzi, i segni che ci sono rimasti sulla pelle e nel cuore.



Ho subito scritto alla coordinatrice della comunità, Graziella. L’ho abbracciata da parte mia e della mia cooperativa, la Milagro, dicendole di non volerla disturbare e che l’avrei richiamata nei prossimi giorni. Immagino quanti sms come il mio stiano giungendo a tutti i collaboratori del Gallo. Eppure Graziella mi ha risposto subito. L’umanità che la contraddistingue è una caratteristica fondamentale di San benedetto al Porto. È l’insegnamento primo e ultimo che il Gallo ha impresso nei suoi collaboratori e in chi ha creduto davvero nella sua forza e nella forza dell’Uomo.
Anche a poche ore dalla tua morte, caro Don, ti devo e ti voglio ringraziare. C’è chi, come Graziella, ha fatto suoi i tuoi insegnamenti e li trasmette a partire dai gesti più semplici: un sms sincero e semplice in risposta a un breve messaggio di vicinanza.
Grazie a te, Gallo, ho incontrato in forma incarnata il Credo che per molti anni ho inseguito nella vita,  andando oltre le singole persone e i miti per incontrare la gente, quella vera, ogni giorno: direttamente, con il mio lavoro di educatrice, ma anche indirettamente, nella gestione e progettazione di Servizi che possano sostenere la Comunità e il Territorio, e che quotidianamente Milagro persegue come valori primi da diffondere, con professionalità e per cui far cultura: condivisione e mutualità.
Ho pianto tornando in macchina dal lavoro stasera. So già che mi mancherai. Ma so che per dare valore alla tua esistenza non devo far altro che proseguire nel mostrare e diffondere i valori di umanità, inclusione, rispetto, coraggio e semplicità. Senza lacrime. Almeno non troppe.
Mi auguro che i tuoi collaboratori, ora che ti sei un po’ allontanato, riescano ancor di più a farsi forza e portare avanti il lavoro in cui credono e a cui stanno dedicando le loro vite, professionali e non. Non sarà facile, ma lo devono a te, a se stessi e a tutte quelle persone che ogni giorno continueranno a incontrare e che difficilmente potranno incontrare altre mani tese sincere come le loro.
Un abbraccio a te dolce vecchio prete. E un abbraccio particolare a Graziella, Fabio, Franca e a tutti i ragazzi e le ragazze di Frascaro e della Casa di Quartiere di Alessandria.

Manuelawww.milagro.it

martedì 2 aprile 2013

Pensieri a caldo




  Cosa fare quando tutto ci sfugge dalle mani? Il tempo in cui viviamo è frenetico come non mai. Le giornate corrono veloci, piene di cose da fare. Senso di oppressione. Il pensiero orientale ci insegna che in questi casi, l'unica via è fermarsi e meditare. Ma come portare questa saggezza nella mia vita di tutti i giorni, quando anche mettermi lo smalto mi sembra un impegno e la fatica sale?
Ho una guerra contro l'ansia da affrontare ogni giorno. Questo lo so. Ma so anche di avere le mie soddisfazioni, le mie certezze. I miei sogni e i miei progetti mi reggono in piedi. Eppure oggi non mi bastano. Penso ai pochi giorni di vacanze pasquali appena giunti al termine e mi dico che forse è sempre la stessa storia: appena so di avere qualche giorno di respiro dal tran-tran quotidiano, vorrei fare di tutto. Non ce l'ho fatta nemmeno stavolta. Eppure sono stati giorni sereni. In famiglia e con amici.
No, non mi basta. Perchè la scuola che tanto desideravo iniziare, mi ha paccata e quest'anno non si può fare? Voglio andare a correre. Devo fare i mestieri. Dove andremo in vacanza questa estate?Voglio leggere di più. Voglio fare più yoga. Voglio studiare e voglio scrivere...beh, questo ora lo sto facendo, mentre Vinicio mi culla inaspettatamente dalla radio, con le sue note sensuali.
Cosa possiamo capire dal nostro rapporto con il tempo? Cosa, lo scorrere del tempo, può insegnarci?
Una vita intera non può rientrare in una sola giornata. Ma, a pensarci bene, in una vita intera possono rientrarci tutte le giornate che abbiamo! Nella vita ci può stare molto di ciò che desideriamo!E ci può stare tutto ciò che giorno per giorno selezioniamo, come priorità e come costanti, a partire da ciò che sentiamo ci fa star bene.
Cara Ansia, non avrai la meglio su di me. Non sei una mia priorità, mi dispiace.

venerdì 25 gennaio 2013

L'attesa



Domenica é nata la mia seconda nipote. Mia sorella, la madre, é entrata in ospedale venerdì sera. Due notti e un giorno d'attesa, lunghissima attesa. Non voglio immaginarmi nei suoi panni, mi bastano i miei. Dalla telefonata di mio padre, che mi ha avvisato che il momento era arrivato, ho sentito un'ansia incontenibile. Bella a tratti: stavo per conoscere la mia nipotina. Ma nello stesso tempo si sa che una nascita, porta con sé una delle paure più grosse, quella della morte. É vero, ammetto di avere così tanta paura anche solo dell'idea di partorire, che non so se diventerò mai madre, per lo meno madre "naturale". Ma non si può negare che l'atto (appunto) più naturale che si dice esistere, é uno degli atti più rischiosi al mondo. Voglio dire, anche mangiare é un atto naturale. Dopodiché é meno rischioso, con tutta probabilità, del partorire.
Il parto dà vita (sul concepimento ci possono essere versioni discordanti, ma sul parto no). L'atto che per la nostra cultura viene definito come il più altruista di tutti gli atti che una donna può compiere, quello del parto (quando parlo della mia paura di partorire le risposte più frequenti gravitano intorno all'indicare un mio possibile egoismo e non al confronto con una paura tuttosommata umana), ti fa confrontare immediatamente con il tema della morte: al di là dei rischi che mamma e bambino/a corrono nel parto, dando vita ad una persona contribuisci a far scattare il suo count down verso la sua più o meno futura morte. Ci vuole un coraggio gigante. Inoltre, soffri, spingi, temi. La vita nascitura attraversa ore e attimi di smarrimento, senso di vuoto, maltrattamenti. Tu che li ami e attendi, non puoi stare tranquillo. É impossibile. Si può imparare a governare l'ansia, però. Questo sì. E per una persona ansiosa, come la sottoscritta, vi assicuro che in queste ore di attesa, ho combattuto un match con l'ansia non indifferente. Forse é per questo che mi sono dedicata più che ho potuto al mio primo nipotino, quel tesorino di 20 mesi che di lì a poco si sarebbe dovuto confrontare con l'avere una sorellina. Lui, a differenza mia, ha vissuto un'attesa inconcepibile, piccolino com'é. La mamma stava male (questo l'ha capito nettamente). l'ha coccolata molto e poi l'ha vista andar via, "dal dottore". Da qui in poi un'attesa senza confini. Lui, l'esperienza della morte, l'ha vissuta in pieno. Grazie a lui e alla sua tenera tenacia di resistenza e tenuta, ho imparato che l'attesa é differente dall'incertezza (e dall'incertezza assoluta che comporta il confrontarsi con la morte). Lincertezza ti butta in una condizione di smarrimento senza confini. E più sei incerto rispetto a qualcosa che per te é fondamentale (come per il piccolo Mattia della presenza fino a quel giorno scontata e assoluta della sua mamma), più i confini si confondono e si allontanano e l'ansia prende il sopravvento. L'attesa invece, che caratterizza la posizione di colui o colei che sa cosa e chi sta attendendo, può offrirti grandi possibilità, se si é in grado di gestire l'ansia che però ne rappresenta solo una deriva. L'attesa ti dà la possibilità di confrontarti con la curiosità, con la capacità di immaginare, di prefigurare, di creare. Attendere vuol dire avere la possibilità di prepararti a ciò che potrà essere e, contemporaneamente, di prepararti a ciò che ci sarà, perché questo dipenderà anche dal modo in cui saremo capaci di attenderlo. Un po' come per chi aspettava Godot. Attendere insegna a stare nell'attesa, al di là di ciò che avverrà. E ciò che avverrà, se sarà stato atteso, avrà la forma necessariamente di ciò che abbiamo saputo immaginare, progettare. Proprio come l'attesa di un figlio. Nessuno sa quanta vita avrà questo figlio. Ma QUALE vita avrà, dipenderà anche da come l'abbiamo attesa, perché saremo maggiormente pronti a costruirla come l'avremo immaginata.