Oggi sono in vena di porvi e di
pormi una domanda importante, a partire dal fenomeno della dispersione scolastica,
su cui ho lavorato da fine 2008 fino all’anno scorso.
Ma che cos’è per me la
dispersione scolastica?
Mentre ero in quelle varie
faccende affaccendata, ho capito che la dispersione scolastica, vista come dato
tecnico e statistico, impedisce di cogliere appieno il fenomeno. Che, come
sappiamo, è sempre più in espansione.
Io vedo la dispersione scolastica
come la punta dell’iceberg di una realtà molto più complessa: una situazione di
vita che non permette ai ragazzi e alle ragazze di immaginarsi un proprio posto
nel mondo.
Un bel problema dunque. E credo
che se al posto dell’aggettivo ‘scolastica’ mettessimo ‘esistenziale’, avremmo
maggiori coordinate di pensiero e progettazione . Quello che ho imparato in
questi 11 anni di lavoro è che in Educazione le semplificazioni delle
questioni non paga mai. Problematizzare
e complessificare comporta fatica, ma permette anche di cogliere sfumature di
senso imprescindibili per darsi coordinate di azione utili ed efficaci.
E così, facendo prima
l’educatrice in un servizio chiamato ‘Scuola bottega’, per poi, dopo uno stop
amministrativo di un anno, coordinarlo per i successivi due, con i miei
colleghi e in collaborazione con Enaip Lombardia, abbiamo gestito un progetto
in cui,i ragazzi e le ragazze che lo frequentavano (e i numeri erano altissimi:
siamo arrivati in un’annualità ad avere un’ottantina di utenti), potevano
sperimentarsi in laboratori di mestiere ed essere accompagnati in percorsi
educativi individuali e di gruppo, alla ricerca del proprio saper fare. Ma non
solo: abbiamo con loro lavorato perché riuscissero a recuperare quella
dimensione del sognarsi che deve appartenere all’adolescenza e alla giovane
età. Perché sappiamo che un must
orientativo per eccellenza è che siamo capaci di fare meglio quello che più
ci piace.
Anche dopo la fine dei
finanziamenti regionali per due annualità e a regime ridotto, solo con
Cooperativa Milagro, abbiamo continuato a lavorarci. Siamo riusciti a garantire
alcuni laboratori esperienziali, collaborando con Afol, alcune esperienze di
tirocinio e borsa lavoro, ma anche iscrizioni a nuovi percorsi scolastici, o
sostegno per terminare quelli in corso. Abbiamo svolto bilanci esperienziali e
di competenze, non solo tramite colloqui, ma costruendo esperienze concrete in
cui permettere a ragazzi e ragazze di guardarsi e provare a scegliere.
Ma come è possibile capire cosa ci piace, quando il pressing sociale ci impedisce di
collocarci nella nostra propria dimensione esistenziale? E con gli adulti che ci
dicono che la scuola oggi vale meno, perché tanto poi non c’è un posto di
lavoro che mi accoglierà? E, al di là di ciò che sarà di me in futuro, che cosa
la dimensione di dispersione in cui oggi sono immerso e immersa mi impedisce di
conoscere e sperimentare?
Tutto sommato sono queste domande
attraversabili in qualsiasi servizio educativo, sia per giovani che per adulti,
per disabili o meno. Perché queste sono, come dicevo qualche riga fa, domande
esistenziale. E l’esistenza non si fa incatenare da target di utenza con cui
classifichiamo i servizi. Ma non possiamo nemmeno richiedere ad ogni servizio
di occuparsi di tutto ciò che riguarda una persona. E la selezione delle tematiche da trattare è un valore pedagogico da
agire e da insegnare.
Per questo, nel corso degli
ultimi due anni, con la mia cooperativa ho cercato di formulare un progetto
‘leggero’. Si chiama Warm up: giri di
prova contro la dispersione. È un progetto leggero nella forma e nei costi,
che si offre di affiancare ragazzi e ragazze, che sono già in carico ad altri
servizi, per poter approfondire con loro la dimensione di dispersione in cui si
trovano. Fare qualche giro, che può
durare dai tre mesi all’anno di durata per poche ore a settimana, per ritrovare
quelle coordinate di orientamento perse a causa dei problemi più disparati.
L’immagine è stata tratta dal film Rush, di Ron Howard, e liberamente modificata da Roberto Macalli - Stampa&Rigenera
Warm up ad oggi non ha ancora
avuto possibilità di attuazione. Contattati per tre situazioni, nessuna
attivazione è partita perché la domanda di presa in carico arriva sempre troppo
tardi e la vita ha già portato altrove questi ragazzi. In un caso di questi, ha
vinto l’andare all’estero a cercar fortuna, negli altri due hanno vinto le
fatiche. Sì, proprio quelle fatiche esistenziali che poi diventano troppo
ingombranti anche solo per aderire ad un progetto educativo. E gli adulti
mollano.
Vi lascio con una domanda: perché
la deriva di arrivare troppo tardi si sta diffondendo a macchia d’olio con le
situazioni di dispersione scolastica? Cosa non vediamo? Cosa l’Italia si sta
perdendo?
Perché quello che perdono i
singoli ragazzi è chiaro e l’abbiamo tremendamente sotto gli occhi ogni giorno.