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venerdì 31 luglio 2015

#storia8: Tempo di vacanza, tempo di passioni

Oggi è il mio ultimo giorno lavorativo, prima delle tanto agognate ferie, che passerò tra mare, fiume, città, amici e famiglia, campagna e magari anche un poco di montagna.

Alcuni impegni di lavoro mi sono saltati all’ultimo oggi e sono stati rimandati a settembre. Ne approfitto quindi per scrivere. Che chi mi conosce sa essere una mia passione.

Purtroppo non sono riuscita quest’anno a ricavarmi spazi fissi in agenda per farlo. Perché io non sono quella da blocco dello scrittore, quando mi siedo davanti un tavolo e le dita poggiano sulla tastiera del netbook, vanno, spesso da sole. Sarebbe bello quindi avere almeno un po’ di tempo fisso a settimana per buttar giù qualche pensiero. Così avrei voluto fare a marzo, quando vi avevo promesso che avrei fatto il possibile per scrivere un articolo a settimana, sulle mie esperienze professionali.

Non ce l’ho fatta, ma agosto potrà essere un buon mese per recuperare e poi, da settembre, ricomincia l’anno lavorativo con i buoni propositi, tra cui tornerà, primo in fila: scrivi una volta a settimana! E vedremo come andrà.

La scrittura non è la mia unica passione. Anche la pedagogia mi fa battere il cuore. Mi fa ridere mio marito quando mi vede assortita, e non bado a ciò che mi sta raccontando in quel momento, e mi dice: ‘ma la pianti di pensare alla tua pedagogia? Mi ascolti?’. Sì, analizzare gli avvenimenti con sguardo pedagogico mi ha preso quando ho iniziato l’Università e credo non mi abbia mai mollato.

Per questo, nel lontano…credo…2006 o giù di lì, quando Cristina Palmieri, docente all’epoca in Pedagogia della disabilità e dell’integrazione (Scienze dell'educazione, Milano - Bicocca), mi ha chiesto di affiancarla come cultrice della materia per l suo insegnamento, ho accettato senza pensarci un attimo, anche sapendo che sarebbe stato un incarico totalmente gratuito, che avrei dovuto giostrarmi in aggiunta ai lavori che già avevo e che mi permettevano anche un guadagno economico.



L’immagine è stata tratta dal film Into the wild, di Sean Penne liberamente modificata da Roberto Macalli - Stampa&Rigenera






Sono rimasta al suo fianco per tre anni. Ho esaminato studenti e studentesse, li ho seguiti nella scrittura delle tesi, partecipando anche alla loro discussione come correlatrice e ho fatto qualche comparsa in alcune lezioni della Professoressa, che mi ha affidato pezzi di lezione. Era per me bellissimo accompagnare i futuri educatori nel cogliere il nucleo di quella che sarebbe stata la loro professione: difficile, nascosta dietro alle pieghe delle relazioni di aiuto naturali, bersagliata da altre scienze umane, affini ma non specifiche, non necessarie all'Educazione come la pedagogia. Una professione potente e ben definita se messa a fuoco con attenzione e perseveranza tramite quello che a me piace chiamare ‘lo sguardo pedagogico’. Ricordo di aver fatto fare a quegli studenti tanta fatica, ma anche di aver loro mostrato chiaramente il pedagogico, così da poterlo scegliere davvero, oppure da sentirsi in diritto, e forse anche in dovere, di navigare per altri mari professionali.

Avrei potuto, al termine di questi tre anni, concorrere per entrato in Dottorato. Ricordo di aver cominciato a studiare per il concorso, ma poi ho avuto il dubbio che non sarei riuscita a portare contemporaneamente avanti il lavoro nel Terzo settore, come invece per me era importante fare e allora ho rifiutato l’occasione.

Ad oggi non so dirvi, se ho fatto la scelta giusta. Per come sono fatta sarei probabilmente riuscita a tenere insieme capre e cavoli, con un grosso dispendio energetico, ma con altrettante soddisfazioni. La storia è diventata un’altra e ora sono quella che sono, anche per la strada che ho scelto, essendo arrivata, allora, a quel bivio.

Ciò di cui so di non essermi pentita è di aver portato nel lavoro che quotidianamente svolgo nei servizi educativi o nel loro coordinamento, ma anche nelle consulenze e nei progetti formativi che faccio, il rispetto del paradigma pedagogico, che rende il mio lavoro una professione preziosa, che sa far crescere, imparare e insegnare, trasmettere e sperimentare, sentire e fare, conoscersi e scegliere, riorganizzarsi e ripartire.

Tutto ciò per me è straordinario. Emozionante. E termino questo anno lavorativo, stanca morta, ma con un senso di pienezza che mi dà pace e serenità.

Auguro a tutti voi buone vacanze. Che ognuno di voi possa fare il bilancio tra bisogni e desideri e riposarsi un po’, per poi ricominciare la propria strada, qualunque essa sia!

Ah, per la cronaca: quest’anno, con le mie due socie di Metas, ho ripreso a collaborare con l’Università, con la cattedra di pedagogia generale e sociale del Prof. Sergio Tramma. Forse quindi rinunciare al Dottorato non è stata una scelta definitiva di distacco dal mondo accademico, ma solo un arrivederci a quando sarei stata più pronta!