Oggi è il mio ultimo giorno
lavorativo, prima delle tanto agognate ferie, che passerò tra mare, fiume,
città, amici e famiglia, campagna e magari anche un poco di montagna.
Alcuni impegni di lavoro mi sono
saltati all’ultimo oggi e sono stati rimandati a settembre. Ne approfitto
quindi per scrivere. Che chi mi conosce sa essere una mia passione.
Purtroppo non sono riuscita
quest’anno a ricavarmi spazi fissi in agenda per farlo. Perché io non sono
quella da blocco dello scrittore,
quando mi siedo davanti un tavolo e le dita poggiano sulla tastiera del
netbook, vanno, spesso da sole. Sarebbe bello quindi avere almeno un po’ di
tempo fisso a settimana per buttar giù qualche pensiero. Così avrei voluto fare
a marzo, quando vi avevo promesso che avrei fatto il possibile per scrivere un
articolo a settimana, sulle mie esperienze professionali.
Non ce l’ho fatta, ma agosto
potrà essere un buon mese per recuperare e poi, da settembre, ricomincia l’anno
lavorativo con i buoni propositi, tra cui tornerà, primo in fila: scrivi una
volta a settimana! E vedremo come andrà.
La scrittura non è la mia unica
passione. Anche la pedagogia mi fa battere il cuore. Mi fa ridere mio marito
quando mi vede assortita, e non bado a ciò che mi sta raccontando in quel
momento, e mi dice: ‘ma la pianti di pensare alla tua pedagogia? Mi ascolti?’. Sì,
analizzare gli avvenimenti con sguardo pedagogico mi ha preso quando ho
iniziato l’Università e credo non mi abbia mai mollato.
Per questo, nel lontano…credo…2006
o giù di lì, quando Cristina Palmieri, docente all’epoca in Pedagogia della
disabilità e dell’integrazione (Scienze dell'educazione, Milano - Bicocca), mi ha chiesto di affiancarla come cultrice
della materia per l suo insegnamento, ho accettato senza pensarci un attimo,
anche sapendo che sarebbe stato un incarico totalmente gratuito, che avrei
dovuto giostrarmi in aggiunta ai lavori che già avevo e che mi permettevano
anche un guadagno economico.
L’immagine è stata tratta dal film Into the wild, di Sean Penn, e liberamente modificata da Roberto Macalli - Stampa&Rigenera
Sono rimasta al suo fianco per
tre anni. Ho esaminato studenti e studentesse, li ho seguiti nella scrittura
delle tesi, partecipando anche alla loro discussione come correlatrice e ho
fatto qualche comparsa in alcune lezioni della Professoressa, che mi ha
affidato pezzi di lezione. Era per me bellissimo accompagnare i futuri
educatori nel cogliere il nucleo di quella che sarebbe stata la loro
professione: difficile, nascosta dietro alle pieghe delle relazioni di aiuto
naturali, bersagliata da altre scienze umane, affini ma non specifiche, non
necessarie all'Educazione come la pedagogia. Una professione potente e ben definita se messa a fuoco con
attenzione e perseveranza tramite quello che a me piace chiamare ‘lo sguardo
pedagogico’. Ricordo di aver fatto fare a quegli studenti tanta fatica, ma
anche di aver loro mostrato chiaramente il pedagogico, così da poterlo
scegliere davvero, oppure da sentirsi in diritto, e forse anche in dovere, di
navigare per altri mari professionali.
Avrei potuto, al termine di
questi tre anni, concorrere per entrato in Dottorato. Ricordo di aver
cominciato a studiare per il concorso, ma poi ho avuto il dubbio che non sarei
riuscita a portare contemporaneamente avanti il lavoro nel Terzo settore, come
invece per me era importante fare e allora ho rifiutato l’occasione.
Ad oggi non so dirvi, se ho fatto
la scelta giusta. Per come sono fatta sarei probabilmente riuscita a tenere
insieme capre e cavoli, con un grosso dispendio energetico, ma con altrettante
soddisfazioni. La storia è diventata un’altra e ora sono quella che sono, anche
per la strada che ho scelto, essendo arrivata, allora, a quel bivio.
Ciò di cui so di non essermi
pentita è di aver portato nel lavoro che quotidianamente svolgo nei servizi
educativi o nel loro coordinamento, ma anche nelle consulenze e nei progetti
formativi che faccio, il rispetto del paradigma pedagogico, che rende il mio lavoro
una professione preziosa, che sa far crescere, imparare e insegnare,
trasmettere e sperimentare, sentire e fare, conoscersi e scegliere, riorganizzarsi
e ripartire.
Tutto ciò per me è straordinario.
Emozionante. E termino questo anno lavorativo, stanca morta, ma con un senso di
pienezza che mi dà pace e serenità.
Auguro a tutti voi buone vacanze.
Che ognuno di voi possa fare il bilancio tra bisogni e desideri e riposarsi un
po’, per poi ricominciare la propria strada, qualunque essa sia!
Ah, per la cronaca: quest’anno,
con le mie due socie di Metas, ho ripreso a collaborare con l’Università, con
la cattedra di pedagogia generale e sociale del Prof. Sergio Tramma. Forse quindi
rinunciare al Dottorato non è stata una scelta definitiva di distacco dal mondo
accademico, ma solo un arrivederci a quando sarei stata più pronta!