Viviamo immersi nei sistemi
organizzativi. Inutile che vi elenchi scuole, ospedali, imprese lavorative,
sistemi di compra e vendita, carceri, partiti, Chiese, servizi. E poi quelle informali: famiglia, gruppi di
amici, di volontariato, Oratori, movimenti partitici, luoghi dello sport, della
cultura, del benessere e del tempo libero. Insomma, grandi categorie dentro le
quali ognuno di noi, quotidianamente, è immerso.
Da tempo, soprattutto con due
colleghe Monica Massola e Anna Gatti,
stiamo riflettendo intorno a ciò che il pedagogico può e deve dire alle
Organizzazioni. La pedagogia, infatti, veicola saperi che ancora ad oggi
rimangono nel sommerso. Un sommerso che non è mentale, inconscio, ma
estremamente materiale, corporeo e organizzato.
Quando qualcuno mi chiede cosa io faccia di
lavoro, sentendomi pronunciare la parola “pedagogista”, la risposta più
frequente che fa da eco alle mie spiegazioni si riferisce al fatto che io lavori con i bambini e magari anche con
i genitori. Vero, verissimo. Ma non solo. Chi si occupa di pedagogia, infatti,
si interfaccia con persone di qualunque età (bambini compresi) e in qualunque
ruolo sociale (genitori compresi). Ciò che però il pedagogico guarda e pone
sotto la lente di ingrandimento, non sono le persone, ma i processi educativi
nei quali queste sono immerse, riferendosi ai contesti di vita di volta in
volta da loro frequentati (famiglie, servizi educativi scolastici ed
extra-scolastici, luoghi di socializzazione e di compito generici).
Ciò che ancora deve prendere
piede in campo pedagogico è la possibilità di sondare, conoscere, analizzare,
potremmo dire anche scandagliare, i contesti aziendali. Anch’essi sono luoghi
di compito e di socializzazione. Anch’essi sono luoghi organizzativi in cui diversi
ruoli sociali si interfacciano con compiti precisi, costruendo esperienze in
cui, le persone che li attraversano, imparano qualcosa su di sé e sull’Altro da sé, in rapporto con il lavoro,
la professione, gli obiettivi da raggiungere, i prodotti da creare, manutenere,
offrire.
Non c’è da stupirsi dunque, se la
pedagogia ha qualcosa da dire anche in questo campo. C’è forse anzi da stupirsi
del contrario. Come è possibile che, ancora ad oggi, il pedagogico non si sia
legittimato lo sbarco in questi territori?
Mi potrete dire che mi sbaglio, che
anche nelle aziende si parla di Formazione. Esiste poi tutto il capitolo di
scelta e selezione del personale e gestione delle risorse umane, che io, più
propriamente, definirei di orientamento e ri-orientamento organizzativo e professionale.
Vero. Ma non è detto che tutto ciò avvenga in un’ottica pedagogica. Anzi, per
la mia esperienza, ne sono sicura.
Questo perché, nonostante siano esistiti e
probabilmente esistano tuttora, corsi di laurea in Scienze dell’educazione, ad
indirizzo Formatori dei sistemi aziendali, la qualità pedagogica di queste
professionalità aziendali non ha mai trovato legittimazione. Sistemi di potere,
di conoscenza e professionali, avversi? Può essere. La causa principale che io
intravedo però, mi dispiace per me e per tutti i miei colleghi, si rifà alla
poca temerarietà teorica di chi lavora nel pedagogico. Aspetto che se
affiancato alle derive morali che da sempre l’Educazione porta con sé
(“facciamo del bene”, “aiutiamo gli altri”) ha allontanato di netto il sapere
pedagogico da ogni ambito pur lontanamente aziendale perché basato e motivato
dal profitto.
Per me questo è un grosso errore.
A cui fa compagnia una scarsa conoscenza epistemologica della scienza
pedagogica per cui mi pare sia ancora necessario ribadire con forza che per
aiutare gli altri, non serve una scienza di appoggio. Per aiutare gli altri,
per far del bene, serve aver tempo a disposizione e buon cuore, guarda caso
caratteristiche afferenti all’ambito del volontariato e non di qualche
professione. Dopodiché, molte professioni e mestieri hanno come effetto
collaterale il fare del bene. Anche un elettricista che sistema guasti nelle
abitazioni, o negli ospedali, fa del bene collateralmente, aiuta. Ma nessuno
dice che il suo lavoro consiste nell’aiutare gli altri.
Il sapere pedagogico si sostanzia nel
governo di processi educativi, attraverso la gestione di setting in cui c’è
chi ha la responsabilità di ruolo di insegnare e chi si ritrova nel ruolo di
colui o colei che impara. Anche nelle aziende c’è chi insegna e chi impara. Nei
corsi di formazione, ma non solo. Esistono ruoli predisposti, per definizione
organizzativa e per esperienza lavorativa maggiore, a mostrare le pratiche del
mestiere e permettere ai sottoposti, o a chi svolge mansioni differenti, di
imparare qualcosa di nuovo, arricchendo la propria professionalità. Arricchimento
che, tra l’altro, non è solo di chi impara, ma anche di chi insegna. E questo
accade durante la pratica lavorativa quotidiana, senza che il tempo produttivo
si fermi in qualche aula formativa.
Non c’è dunque una ragione vera
ed epistemologica per cui il pedagogico non possa entrare in ambito aziendale.
E, come ci ha insegnato a dire Mel Brooks: si può fare!
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